
Cosa significa se l'obesità è riconosciuta come malattia cronica in Italia?
La parola alle dottoresse, tra vantaggi possibili e inesattezze
31 Maggio 2025
L'obesità è stata riconosciuta come patologia cronica a tutti gli effetti in Italia. Un passo avanti significativo nella lotta contro quella che l'Organizzazione Mondiale della Sanità definisce "l'epidemia del XXI secolo". In Italia, in base ai dati Istat, l'11,8% della popolazione adulta italiana soffre di obesità (quasi 6 milioni di cittadini), e circa il 19% dei bambini tra gli 8 e 9 anni di età è in sovrappeso e il 9,8% risulta affetto da obesità. La proposta di legge n.741, denominata "Disposizioni per la prevenzione e la cura dell’obesità”, portata avanti da un’iniziativa parlamentare, è stata ufficialmente approvata il 7 maggio scorso alla Camera dei Deputati, con 155 voti favorevoli, 103 astenuti e nessun contrario (ora dovrà passare al Senato). Questa legge riconosce effettivamente l’obesità come malattia cronica, progressiva e recidivante, e l’Italia diventa così uno dei primi Paesi in Europa e nel mondo a compiere questo passo a livello legislativo. Prima di lei la Germania nel 2020 e o stato dell’Alberta, in Canada, nel marzo 2025. Con l'approvazione del Piano Nazionale per la Prevenzione e il Trattamento dell'Obesità 2025-2027 dello scorso marzo, inoltre, l’Italia si è allineata alle direttive europee, confermando che l’obesità è una patologia che necessita di un approccio più che mai multidisciplinare e sistemico.
L'obesità è riconosciuta come malattia cronica in Italia: cosa vuol dire?
Il nuovo piano nazionale prevede tra le novità più rilevanti l'inserimento dei trattamenti per l'obesità nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), garantendo così la copertura da parte del SSN di visite specialistiche, esami diagnostici e terapie mirate. Inoltre, l’articolo 3 della proposta di legge prevede un fondo con un finanziamento di 700.000 euro per il 2025, 800.000 euro per il 2026 e 1,2 milioni di euro annui a decorrere dal 2027. Un altro aspetto innovativo del piano è l'implementazione di campagne di sensibilizzazione nelle scuole, mirate a combattere lo stigma sociale associato all'obesità e a promuovere stili di vita sani. Con queste misure, l'Italia occupa una posizione più che mai importante in Europa nella lotta contro l'obesità, riconoscendo finalmente la complessità di questa patologia e la necessità di un approccio integrato per la sua prevenzione e il suo trattamento. Il riconoscimento dell’obesità come patologia, dunque, rappresenta un passo fondamentale per superare lo stigma sociale che spesso accompagna questa condizione e per promuovere un approccio terapeutico. Come sottolineato da parecchi esperti del settore, è essenziale affrontare l’obesità non solo come una questione individuale, ma come una sfida sanitaria e sociale che richiede interventi coordinati a livello nazionale. Ma cosa dicono, effettivamente, questi esperti? Abbiamo chiesto delucidazioni a tre dottoresse che operano nel settore, ed ecco cosa ci hanno detto.
Il parere delle dottoresse sull'obesità
"Dal punto di vista medico, riconoscere l’obesità come malattia cronica ha perfettamente senso" afferma la dottoressa Martina Donegani, nutrizionista. "L’obesità è una condizione cronica e multifattoriale, legata non solo a eccesso di peso ma a un insieme di alterazioni metaboliche, ormonali e infiammatorie che aumentano il rischio di sviluppare malattie cardiovascolari, diabete di tipo 2, alcuni tumori e patologie osteoarticolari. Riconoscerla ufficialmente come malattia significa superare lo stigma che la riduce a una questione estetica o di scarsa forza di volontà e trattarla per quello che è: una condizione complessa che richiede un approccio multidisciplinare". "A livello medico, l'obesità è già da anni definita come patologia cronica, recidivante e progressiva dalla comunità scientifica internazionale. L'obesità ha pertanto una sua dignità nosologica a sé stante rispetto ad altre sue possibili complicanze ed è pertanto meritevole di terapie specifiche. Tali terapie aggrediscono alcune tra le cause biologiche della malattia, che riconosce una patogenesi multifattoriale e complessa con basi genetiche, epigenetiche, ambientali, sociali, situazionali e in talune condizioni anche psicologiche" ha aggiunto la dottoressa Giulia Maria Pontesilli, che si occupa di obesità e malattie metaboliche. "Il riconoscimento anche legislativo della malattia obesità in quanto tale ha fondamento clinico, serve ad affrontarla in modo strutturato e ridurre stigma e colpevolizzazione". "L’obesità è oggi universalmente riconosciuta come una malattia cronica, multifattoriale, recidivante e progressiva da parte delle principali organizzazioni sanitarie internazionali e società scientifiche, tra cui OMS, EASO, FIAO, AMA e World Obesity Federation" conferma la dottoressa Francesca Dominici, anche lei esperta di obesità e malattie metaboliche. "Dal punto di vista medico, definirla una patologia non è solo una scelta semantica, ma un atto necessario per sottolineare la complessità biologica, che coinvolge regolazione neuroendocrina, infiammazione cronica, alterazioni metaboliche e genetiche, il suo impatto sistemico (con oltre 229 complicanze associate, che coinvolgono praticamente ogni organo e sistema) e la necessità di un approccio terapeutico strutturato, multidisciplinare e non colpevolizzante. Questo riconoscimento è fondamentale anche per contrastare lo stigma medico e sociale, che ancora oggi rappresenta una barriera all’accesso alle cure per molte persone affette da obesità". Insomma, le esperte sono d’accordo per quanto riguarda il riconoscimento in generale dell’obesità, ma per quanto riguarda i vantaggi che ne conseguono?
Riconoscimento dell'obesità come malattia cronica in Italia: ci sono dei vantaggi?
Sembra che anche qui siano tutte d’accordo sugli inequivocabili pro che questa legge potrebbe portare. "Il riconoscimento consente l’inserimento dell’obesità nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), quindi rende più accessibili visite specialistiche, terapie nutrizionali, supporto psicologico e percorsi di educazione alimentare" dice la dottoressa Donegani. "Potrebbe anche aprire la strada a programmi di prevenzione strutturati, oltre a favorire la formazione degli operatori sanitari e una maggiore sensibilizzazione dell’opinione pubblica". "Nei prossimi anni non è escluso che si possano trovare delle sotto-popolazioni di pazienti ai quali prescrivere i farmaci cosiddetti OMM (obesity management medications) in regime di rimborsabilità. Ciò al momento risulta impensabile da estendere a tutte le persone affette da sovrappeso o obesità, che compongono il 40% circa della popolazione. L'introduzione della legge mira anche a ottenere una riduzione dello stigma, che contribuisce a dipingere l'obesità come una forma di mancanza di volontà o come una colpa, creando un muro fra le persone che ne sono affette e l'accesso a possibili cure" afferma la dottoressa Pontesilli. "Risulta importantissima la prevenzione: nella legge si parla di campagne di sensibilizzazione, educazione sanitaria, programmi nelle scuole." "Riconoscere l’obesità come patologia aiuterebbe inoltre a canalizzare fondi pubblici per la prevenzione, la formazione professionale e lo sviluppo di nuove terapie. Per non parlare poi del superamento dello stigma: spostare il paradigma dalla colpa individuale alla malattia trattabile ha un impatto enorme sul piano psicologico e sociale, migliorando l’aderenza terapeutica e la qualità della vita delle persone affette da obesità" aggiunge la dottoressa Dominici.
BMI: la sua validità oggi
Per quanto riguarda il BMI (indice di massa corporea) - l’indicatore citato nel testo della legge - abbiamo chiesto alle dottoresse se è considerabile un metodo oggettivo per calcolare la massa corporea. Risponde la dottoressa Donegani: "Il BMI è uno strumento semplice e utile per una valutazione iniziale, ma non è sufficiente da solo. Non tiene conto della composizione corporea (massa grassa vs massa magra), della distribuzione del grasso corporeo o di eventuali comorbidità. Per esempio, un atleta molto muscoloso può avere un BMI elevato ma un rischio metabolico nullo. È quindi importante affiancarlo ad altri parametri: circonferenza vita, analisi della composizione corporea, esami ematici e valutazione clinica generale. Insomma, risulta uno strumento semplice, economico, rapido, utile a livello epidemiologico, ma è impreciso, in quanto non tiene conto della composizione corporea e non distingue massa grassa da massa magra, né valuta la distribuzione del grasso". Anche la dottoressa Pontesilli esprime i suoi dubbi in merito. "Non tiene inoltre conto di età, sesso ed etnia. Un indice maggiormente utile è il rapporto fra la circonferenza addominale e l'altezza, detto WTHR (waist-to-height ratio): secondo un nuovo framework per la diagnosi e stadiazione dell'obesità, bisognerebbe tenere conto del BMI e del WTHR, nonché delle eventuali componenti cliniche a livello medico, funzionale e mentale per definire una linea di trattamento". Infine, anche la dottoressa Dominici concorda, e aggiunge: "Le linee guida europee EASO raccomandano di affiancare al BMI altri strumenti di valutazione, come la circonferenza vita, il WHtR e, soprattutto, una valutazione clinica delle complicanze associate (diabete, ipertensione, NAFLD, OSAS, ecc.). Il riconoscimento dell’obesità come patologia non dovrebbe quindi basarsi esclusivamente su una soglia di BMI, ma rientrare in una diagnosi clinica strutturata, che tenga conto della severità e dell’impatto funzionale della malattia". Insomma, non resta che attendere che la legge sia effettivamente promulgata per vederne gli effetti, nella speranza che siano effettivamente così positivi come si prospettano.