Vedi tutti

Rkomi è (quasi) l'unico rapper di cui ci fidiamo

Il testo di "L'ultima infedeltà" è un passo nella giusta direzione

Rkomi è (quasi) l'unico rapper di cui ci fidiamo  Il testo di L'ultima infedeltà è un passo nella giusta direzione

Io, dei rapper, non mi fido. Non mi fido del modo in cui parlano delle donne, non mi fido del modo in cui affrontano le tematiche sociali. Cerco di rimanere aggiornata sugli ultimi artisti, sono ben consapevole della contraddizione profonda insita ad esempio nella trap, che esprime il disagio di giovani cresciuti in ambienti difficili, ma rimango anche guardinga: perché il crescere in ambienti difficili e volersi esprimere con la musica deve passare anche per l'oggettificazione estrema della donna? Questo e molto altro frulla per la mia testa quando cerco di giustificare (in primis a me stessa) tutto il mio amore pluridecennale per Fabri Fibra. C'è un artista applicabile alla categoria (almeno inizialmente e forse parzialmente) che sfida tutte queste convenzioni e topos. Si chiama Mirko Manuele Martorana, in arte Rkomi

Il nuovo album di Rkomi e la canzone "L'ultima infedeltà"

Del fatto che Rkomi sia diventato durante e posta Sanremo 2025 - grazie alla sua auto-ironia un po' buffa e alla sua attenzione nei confronti di cause sociali importanti, come ad esempio quella della salute mentale e dell'importanza della terapia e quella della comunità LGBTQIA+ - uno dei paladini di Twitter ne avevamo già parlato. Adesso, però, è arrivato un singolo (e un album dal titolo "decrescendo" che ha visto la luce il 23 maggio) a confermare la nostra diagnosi. Rkomi è un rapper (o adiacente) moderno, che parla di mascolinità, violenza di genere e della sua vita con una sensibilità pressoché inedita e con una buona dose di introspezione. Evviva!

Il testo della canzone "L'ultima infedeltà"

Nel testo del singolo "L'ultima infedeltà" il cantante non ha paura di aprirsi. I primi versi sono già un tuffo allo stomaco. "Quando al compagno di mia madre non bastaron le parole/ Io avevo nove anni e stavo già imparando a odiare/ Lui la spinse contro il tavolo, io spiavo dalla sala/ Avrei preso un candelabro solo per spaccargli il cranio" dice, e poi continua: "Non mi sento un figlio, non mi sento un fratello/ Non mi sento un amico, un fidanzato, neanche un rapper/ Mi sento lontano dal posto in cui sono nato/ Mi sento lontano da quello che piace agli altri/ Mi sono detto: Se vuoi crescere, adesso ne parli/O tieni tutto dentro per vederti sanguinare".

Non mancano, nel resto dell'album (ad esempio nei brani "dirti no", "brutti ricordi" e altri) temi più tradizionali, come ad esempio l'amore tormentato, la perdita, l'abuso di sostanze, che fa anche parte della sua storia familiare, se ci basiamo su quello che racconta. Quello che salta all'occhio, però, è una nuova sensibilità e dunque una nuova mascolinità. Una mascolinità da rapper che non rifiuta se stessa rischiando di cadere nel queer baiting o nella macchietta, ma che accetta con garbo le sue contraddizioni e si propone di migliorarsi senza per forza dover ripetere stilemi tipici del machismo rap e trap. Un buon esempio, possiamo sperare, anche per i suoi giovani ascoltatori, che rischiano di essere radicalizzati da Andrew Tate e dalla manosfera ogni giorno sui social network.