
Il corpo delle donne in politica: una questione aperta
Quando l’autorità passa (ancora) per l’abito
27 Maggio 2025
La vittoria di Silvia Salis a Genova, ex atleta olimpica e ora nuova sindaca della città, ha riaperto un vecchio schema che si ripete ogni volta che una donna entra con decisione nel campo del potere. Nonostante la sua esperienza nel mondo sportivo e nelle istituzioni (è stata vicepresidente del CONI e ha rappresentato l’Italia in numerose sedi ufficiali) Silvia Salis è stata giudicata da molti più per la sua avvenenza che per il suo curriculum. Come se l’essere "troppo bella" fosse, ancora oggi, un ostacolo alla credibilità politica.
Troppo bella per essere presa sul serio: il corpo delle donne in politica
Non è la prima volta che succede. Quando una donna in politica è considerata fisicamente attraente, l’effetto è spesso paradossale: invece di rappresentare un punto di forza come accade per gli uomini, diventa un elemento che sospende il giudizio sul merito. Il sottotesto è sempre lo stesso: "Sarà lì per altri motivi", "Chissà chi la sostiene", "È tutta immagine". Lo ha dichiarato la stessa Salis, in un’intervista post-vittoria, raccontando di essere stata spesso sottovalutata per via della sua bellezza, come se in ogni caso, questo non fosse compatibile con l’essere capace. Un pensiero vecchio, ma purtroppo ancora vivo. In Italia, e non solo.
Lo sguardo addosso: il corpo come campo di battaglia
La storia ci insegna che per le donne il corpo è sempre politico. In politica ancora di più. Che si tratti di giacche troppo colorate o di gonne troppo corte, ogni dettaglio estetico viene analizzato con lente d’ingrandimento, come se il corpo femminile debba continuamente giustificare la propria presenza negli spazi del potere. La verità è che dobbiamo anche smetterla di nasconderci. Dobbiamo usare il nostro corpo, il nostro stile personale e la nostra caparbietà come un’arma ed un veicolo. Ed è quello che nel 2021 ha fatto Alexandria Ocasio-Cortez, deputata democratica statunitense, che si è presentata al Met Gala con un abito bianco disegnato da Aurora James, su cui campeggiava la scritta rossa "Tax the rich".
Quando balli sei meno autorevole?
Solo un anno dopo, nel 2022, un altro caso ha fatto il giro del mondo: Sanna Marin, allora premier della Finlandia, viene filmata mentre balla con amici a una festa privata. Il video diventa virale, e le reazioni si dividono tra chi la difende in quanto "giovane e umana" e chi la accusa di comportamenti non consoni al ruolo. Ma quando leader maschi partecipano a eventi mondani o si lasciano andare a momenti goliardici, raramente vengono tacciati di perdita di autorevolezza. Sarà un caso che stiamo parlando sempre di una donna attraente? Quel che è chiaro è che il corpo femminile in politica è un campo minato: se troppo serio, viene definito freddo; se troppo libero, viene definito superficiale. In entrambi i casi, il contenuto politico viene soffocato dallo sguardo giudicante.
La moda come atto consapevole (e sorvegliato)
In ogni caso, a prescindere dal genere, lo stile personale è ciò che continua a veicolare messaggi. Angela Merkel lo aveva capito bene: i suoi blazer monocromatici sono diventati una sorta di armatura minimalista. Niente fronzoli, niente tendenze, solo una divisa ripetuta e rassicurante che comunicava pragmatismo e continuità. Questa strategia, sebbene adottata in chiave diversa, ha radici antiche anche tra i politici uomini. Pensiamo a John F. Kennedy, che fu uno dei primi a capire quanto il look potesse diventare parte integrante della costruzione di leadership. Abiti perfettamente tagliati, capelli ordinati, un uso calibrato del colore e della postura: Kennedy rappresentava un’idea di modernità, efficienza e carisma che passava anche dal guardaroba. Fu tra i primi a valorizzare la dimensione visiva del potere, specialmente nell’era della televisione.
@nowthisimpact Finnish PM Sanna Marin defended herself to the press after private videos of her partying with close friends leaked to the public earlier this week #finland #PM #politicians original sound - NowThis Impact
Mentre Kennedy usava l’eleganza per potenziare la sua aura da leader giovane e visionario, Merkel ha fatto l’opposto: ha sottratto il proprio corpo dal discorso pubblico attraverso una ripetizione rassicurante, quasi anonima, che diventava messaggio in sé. Due estremi di uno stesso principio: in politica, l’abbigliamento è sempre discorso. A differenza degli uomini, alle donne non è concesso sbagliare: ogni gonna è troppo corta, ogni trucco è troppo acceso, ogni libertà stilistica è subito letta come vanità, leggerezza, esposizione. Lo stesso gesto, costruire un’immagine, viene premiato negli uomini, punito nelle donne.
Siamo ancora lontane dalla soluzione, ma il discorso è aperto
Anche se la strada verso una reale parità di sguardo è ancora lunga, oggi qualcosa sta cambiando. I social media, le nuove piattaforme di comunicazione e l’attenzione crescente verso temi come body politics, stereotipi di genere e rappresentazione stanno aprendo spazi inediti. Le nuove generazioni, più allenate alla complessità e più sensibili alle contraddizioni, permettono di affrontare queste discussioni con una lucidità diversa. Parlare di come il corpo delle donne venga raccontato, giudicato o politicizzato non è più un tabù: è un passaggio necessario. Se un tempo questi temi venivano liquidati come "femminismi estetici", oggi trovano dignità nel dibattito pubblico. Non basta, ma è un inizio.