
Tutto quello che ci dobbiamo
L'individualismo come trend sui social e il trauma dumping
29 Maggio 2025
Come credo gran parte degli esseri umani della mia età che ha la fortuna (o la sfortuna, dipende dai punti di vista) di possedere uno smartphone, prima di andare a dormire me ne sto un attimo a scrollare su TikTok. Non importa se gli schermi prima di andare a dormire fanno male, non importa se i contenuti sono demenziali (gattini, nella maggior parte dei casi), non importa se il mio tempo sarebbe speso in maniera migliore leggendo un libro. A volte, tutto quello di cui è bisogno è un po' di malsano scroll. Impossibile, almeno per me, non notare in queste sessioni di annullamento delle funzioni cognitive delle tendenze un po' preoccupanti, ai due (apparenti) estremi. Da una parte l'individualismo spinto del "non devo niente a nessuno", che annulla tutta una concezione di comunità più utile e vitale che mai, dall'altra una pulsione quasi patologica - ma non sono un medico - al trauma dumping.
Individualismo e indipendenza sui social network: cosa stiamo sbagliando
È vero che a un certo punto, nella vita, dobbiamo capire quanto farci influenzare dagli altri (dal loro giudizio, dalla loro presenza nella nostra vita), dobbiamo capire chi ci piace e chi ci fa bene e chi, invece, ci fa male, a chi dare spazio e importanza e a chi, invece, no. Tutto giusto. Questo liberarsi completamente da ogni tipo di responsabilità reciproca - tra l'altro infiocchettato come una sorta di segreto di crescita mentale ed emotiva, come un trick per diventare migliori, per raggiungere una versione più illuminata di se stessi - però, è estremamente dannosa. In realtà, ci dobbiamo molte cose. Ci dobbiamo il rispetto, l'empatia e la cura reciproca e della comunità in cui viviamo insieme, ci dobbiamo favori senza volere per forza qualcosa in cambio, ci dobbiamo il minimo indispensabile per vivere bene, insieme, fianco a fianco, impegnandoci sempre di più per noi stessi ma anche per la collettività. Soprattutto in un periodo come questo in cui le destre stanno vincendo, il capitalismo ha già vinto e noi invece stiamo perdendo. Stiamo perdendo la capacità di comunicare, di capire il nostro ruolo in una società sempre più frammentata, di utilizzare il nostro privilegio per qualcuno che non sia noi, di ritagliarci del tempo libero, in compagnia, di qualità. Di educare le nuove generazioni, di migliorare quello che eravamo. Siamo soli, il mondo va in fiamme da più di un punto di vista. Cosa ci resta, se non l'altro?
@ramenonthestreet "We owe each other empathy." #streetinterview #interview #nycstreetinterview #ramenonthestreetinterview #hopecore #publicinterview #smilecore #motivation #wholesome #lifeadvicetiktok #immiramen #ramen #fyp #lifeadvice #healingtiktok #love #family #parent #parentsoftiktok #mom #momsoftiktok #dad #dadsoftiktok #empathsoftiktok #empathy Our Love Was Beautiful - Instrumental Version - Straight White Teeth
Il trauma dumping come gara a chi sta peggio
Apparentemente all'opposto - ma in realtà si tratta di una naturale reazione a questa crescente solitudine e decrescente capacità di affrontare la vita e la comunità - è il fenomeno del trauma dumping. Avete presente? A volte, sotto un video in cui una persona racconta un'esperienza (e non importa se sia positiva o negativa) qualcuno scrive la sua, di esperienza, ma di solito tende ad essere tremenda, terribile, peggiore. Spesso, la persona che commenta scende in dettagli che mettono un lettore di passaggio (e anche il creatore del video, che magari non si aspettava di essere messo nella posizione di ascoltatore passivo delle storie più traumatiche di centinaia o migliaia di sconosciuti) profondamente a disagio, a metà tra il desiderio di confortare l'utente e la voglia di rispondere: "Sì, ok, ma io stavo parlando di me". Perché lo facciamo? Perché ci piace lamentarci, perché ci piace condurre una lotta silenziosa e costante per decidere chi sta peggio, per shockare, per ricevere conforto, ma forse lo facciamo anche perché non sappiamo con chi parlare, e un commento su TikTok è un po' più comunitario di un diario segreto e meno impegnativo di una seduta di psicoterapia o anche di una conversazione sincera con un amico o un familiare. Anche perché non sempre siamo capaci di portarne avanti una.
La ricerca disperata delle sfumature
Tante cose possono essere vere, tutte in contemporanea. Dobbiamo smetterla di essere people pleaser, ma dobbiamo conservare l'empatia. Dobbiamo capire quali rapporti ha senso nutrire, abbeverare, portare avanti e quali invece lasciare appassire o potare del tutto. Dobbiamo pensare a noi stessi, al nostro benessere, alla nostra carriera, ai nostri desideri ma senza mai perdere di vista la comunità, da cui dipende anche il nostro, di benessere. Dobbiamo aprirci all'altro, ma senza rendere tutto una competizione, ricambiando con dell'ascolto sincero. Se suona difficile è perché lo è, ma è anche quello che ci rende umani. E va bene così.